Dicono che in un paese di mille anime, alla fine, ci si conosce tutti, e soprattutto che tutti sanno tutto di tutti. Io, che in un paese di mille anime ci sono nato, sarà forse per la mia indole schiva, forse perché a una certa ho preso e me ne sono venuto a Torino, ma a San Marzano Oliveto (piccolo borgo dalla Bassa Astigiana) non conosco tutti, e non tutti mi conoscono. Così è andata che con Matteo Garberoglio ci siamo conosciuti da EDIT, a Torino, a un evento sullo spreco alimentare di qualche settimana fa.
Anche Matteo è di San Marzano Oliveto, e insieme al fratello Luca e ai genitori Bruna e Luigi porta avanti l’azienda agricola Carussin, che da quasi un secolo produce vini tra le stesse colline dove scorrazzavo come un perdigiorno quand’ero gagno (per i non piemontesi: ragazzino), e del vino ancora non me ne importava nulla. È bastato un veloce scambio di battute per riconoscerci come figli di quella stessa terra ostinata, cocciuta e generosa che è il Monferrato. E da lì è stato facile organizzare un incontro in cantina. Così: eccomi qui a sentire la loro storia e ad assaggiare i loro vini.
Azienda Agricola Carussin
Reg. Mariano 27 | San Marzano Oliveto (AT)
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Carussin e l’amore per la campagna
Matteo mi accoglie con la faccia sorridente e gli occhi acuti, carichi di voglia di raccontarsi. Qualcosa in lui mi fa pensare a un musicista grunge di metà anni Novanta, qualcos’altro lo avvicina alla figura monacale di un santone tibetano. Indossa un paio di Dr. Martins sfondati dalla campagna, dei calzoncini verde militare, una camicia di lino a righe azzurre e una coppola sgualcita che gli ripara la testa dal sole. E tra le mani il contorno di una sigaretta rollata che sembra non finire mai.
Insieme a lui conosco Bruna, sua madre, con cui mi fermo a chiacchierare un po’ mentre Matteo sistema alcune cose prima di cominciare la visita. Comincia subito a parlarmi della campagna (ed è qui che inizio a capire come sia proprio la terra, oltre al vino, al centro del loro lavoro) e di quanto sia cambiata da quando ha cominciato a prendersene cura. È soprattutto il terreno a essersi impoverito, mi racconta. Decenni di uso sconsiderato di diserbanti e il predominio assoluto della vite rispetto alle altre colture e alle zone boschive hanno trasformato radicalmente i nostri paesaggi.
E se ti guardi intorno, certe colline disseminate di filari di vigne sembrano quasi dei giardini, nella loro perfezione estetica. Ma quando ti avvicini te ne accorgi subito di quanto il terreno sia in sofferenza. E a farne le spese è anche l’uva. Noi di Carussin, continua Bruna, siamo certificati biologico e lavoriamo in maniera biodinamica. Ma non è una scelta dettata dalle mode del momento, è un modo per riappropriarsi dei metodi che appartenevano ai miei genitori, e ancora prima ai miei nonni, che hanno fondato questa azienda. Un tempo, quando ancora non c’erano tutte queste etichette e certificazioni: si lavorava così.
Un giro in vigna
È proprio tra le loro vigne che ho la possibilità di toccare con mano quello che mi è stato raccontato da Bruna. Appena oltre la cascina di Carussin si apre tutto intorno un basso anfiteatro naturale, dove le vigne scendono dolcemente verso il letto del fiume Belbo. E l’ampiezza dello sguardo si allunga fino ad abbracciare da un lato il piccolo centro di Nizza Monferrato, che fa capolino da dietro un’insenatura tra le colline, e dall’altro la torre del castello di Calamandrana, che spunta oltre le chiome degli alberi. Qui, per ovvie ragioni, domina incontrastato il Barbera (l’uvaggio principe di queste terre, come dicevo in un precedente articolo). Ma non manca il Dolcetto, la Freisa, il Moscato, il Cortese e altre varietà minori (vere e proprie chicche che avremo modo di scoprire in degustazione).
Matteo mi accompagna dentro i filari rigogliosi, dove si è conclusa da pochi giorni la fioritura e i piccoli grappoli verdi si preparano a crescere e a prendere colore. In questi primi giorni di giugno, nonostante la siccità degli ultimi mesi, tra queste vigne la terra è in festa: piselli, fave, senape e altre erbe spontanee crescono sotto ai tralci nodosi delle viti. Più avanti arriviamo a una parcella di terreno con vigne giovanissime, piantate da un anno. Tra quelli che un giorno diventeranno filari crescono verdure e altre piante: quasi un orto tra le vigne. È fondamentale favorire la biodiversità in vigna, mi spiega Matteo, queste piante fortificano il terreno, e allo stesso tempo danno nutrienti naturali alla vigna. In questo modo, l’intervento dell’uomo in campagna è minimo: e il tutto lo si ritrova poi nel bicchiere.
La degustazione
La passione di Matteo per le sue vigne è esuberante. Tanto che si potrebbe andare avanti per ore ad ascoltarlo senza rendersi conto del tempo che passa. Ma dopo due ore immersi tra le vigne e un non meno veloce giro in cantina, tra vasche in cemento e vetroresina, si è fatto in fretta mezzogiorno. E una certa sete comincia a farsi sentire.
La degustazione è lenta, quasi meditativa. Affronto i vini di Carussin con pazienza e attenzione, ascoltando come uno scolaro le spiegazioni di Matteo e addentando di tanto in tanto qualche fetta di salame cotto del Monferrato e di tome d’alpeggio cuneesi. Ok il vino e la sua filosofia, ma è comunque l’ora di cominciare a far girare le mandibole. Cominciamo con un vino insolito, il carica l’Asino, blend di quattro vitigni bianchi (Cortese, Favorita, Sauvignon Blanc e Carica l’Asino, vitigno raro di origine forse ligure, forse alessandrina, che solo pochissimi produttori ancora vinificano), che stupisce per un naso fine e aromatico, e un sorso morbido e fresco.
Segue un Moscato vinificato secco, il Tra l’altro, che esalta soprattutto le note balsamiche del vitigno (rosmarino in pole position, timo e salvia seguono a distanza), contornate da una spiccata presenza agrumata di limone e citronella, che si intreccia a una base di miele e camomilla. Passiamo quindi ai rossi della casa. Cominciamo con il Completo, un vino semplice, di pronta beva e con un’etichetta fighissima (d’altronde si sa che anche l’occhio vuole la sua parte). Ottenuto imbottigliando il torchiato di tutte le loro uve a bacca rossa (con una prevalenza di Barbera).
![carussin wine](https://le-strade.com/wp-content/uploads/2022/06/IMG_1809-min.jpg)
Le Barbere, e un amor di Nebbiolo
E a proposto di Barbera… Per l’occasione Matteo me ne fa assaggiare – in ordine di complessità crescente – tre diverse tipologie. L’Asinoi, Barbera d’Asti dai riflessi purpurei, un naso fragrante di confettura di frutti rossi e un gusto fresco e disimpegnato, ottenuta da un blend di uve proveniente da diversi vigneti della proprietà. Il Lia Vì, Barbera d’Asti figlia delle uve di un solo vigneto, che rappresenta alla perfezione l’idea classica della Barbera da tutto pasto: fresca, fruttata e avvolgente. E infine la Tranquilla, una Barbera d’Asti Superiore che si fa notare per la sua maggiore struttura. Un vino etereo, complesso e persistente, con sentori di vaniglia e frutta sotto spirito e un piacevole contorno balsamico. Una Barbera vigorosa e ingannevole: capace di sedurti e poi tagliarti le gambe con i suoi quasi sedici gradi di alcool (da maneggiare con cura!).
E in conclusione non è mancata un’ultima perla: Sisto, un amor di Nebbiolo ottenuto con fermentazione spontanea e macerazione in vetroresina, da uve provenienti da alcuni Cru di Barolo di La Morra. Un vino inaspettato e sorprendente, schietto e sibillino al medesimo tempo, tra i migliori assaggiati in questa categoria. Allo sguardo è diffidente: orbitano come satelliti microscopici migliaia di sedimenti in sospensione. Per l’amante dei vini “puliti”: quasi un monito a non andare oltre.
Ma poi ci cacci dentro il naso e comincia la corsa. I profumi sono precisi, quasi impeccabili: un fondo di frutta matura, cotta; poi, con un’eleganza ribelle, spuntano i fiori: rose e viole essiccate e messe in infusione; un altro giro del bicchiere ed escono fuori le spezie (chiodi di garofano e anice stellato); e infine, dopo una timidezza iniziale: ecco arrivare in sottofondo la menta, tipica dei Nebbioli di La Morra. Il sorso è avvincente, caldo e rinfrescante.
E bevendo e ridendo si sono fatte le tre. Giusto il tempo di salutarsi e di fare un po’ di scorte da portare a Torino. E già me ne esco barcollante e con la testa piena di nuovi stimoli e nuove parole. Io, che a San Marzano Oliveto ci sono nato, nonostante abbia poco più di mille anime, qui continuo a non conoscere tutti, e non tutti mi conoscono. Ma adesso conosco Matteo, e conosco i vini e la storia di Carussin. E questo, per il momento, mi basta.
All images @ 2022 Andrea Borio
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