Cerea e welcome back everybody!
Settembre è quasi finito ma io sono ancora qui a smenarvela con promesse sibilline fatte nel mese di luglio… Forse ai più sarà passata inosservata ma io che sono una donnina di parola, oggi vengo a parlarvi della pizza al padellino (tanto lo so che guardate solo le foto di Mirko, bruti senza cuore).
Per l’occasione e per strizzare l’occhio ai nostri readers sabaudi sfoggerò tutto il dialetto che conosco e, never been a secchiona, BUT FYI dentro sto corpo da “bombshell” -sono ironica- si nasconde un animo da Roberto Giacobbo -molto meno ironica- per cui CIANCIO ALLE BANDE e diamo il via a questa puntata speciale di “Voyager ai confini della pizza”

Cit ma bon
Corso Casale, 34 | Torino
011 818 6845
Lu – Sa | 12 – 14 / 19 – 23
Do | Chiuso
Prezzo Margherita: € 4,50
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Un cicinin di storia
La leggenda vuole che, a dare i natali alla pizza a padellino sia stato un pizzaiolo meridionale emigrato nella roccaforte dell’automobile degli anni ’60 che, per abbreviare i tempi in una città industriale che viaggiava con la quinta ingranata, pensò bene di cuocere le pizze già condite in piccoli tegami di non più di 20cm (da qui anche la pizza al “tegamino”).
Il risultato: una pizza alta, soffice e compatta, che poggia su uno strato inferiore di croccantezza conferitagli dall’olio che unge il padellino e ne facilita il distacco.
La Pizza con la p maiuscola a Torino è stata questa fino a quando, agli esordi degli anni ’80, hanno iniziato ad aprire le prime pizzerie di impronta napoletana come vi dicevo in questo articolo (vi voglio attenti che poi interrogo eheh).
Cit ma bon, traduco per i non autoctoni “piccolo ma buono”, apre i battenti nel 1974 e varcando la soglia si ha l’impressione di camminare sul ponte di una nave. Tanti infatti sono i richiami alla marina: dagli oblò alle appliques sui muri decorati da boiseries, solo che al posto del timone c’è un forno incandescente e il capitano ha come uniforme una t-shirt infarinata.
“Fatti non foste per viver come bruti…
… ma per seguir virtute e canoscenza” -citazioni alte- diceva l’Ulisse di Dante, io dico che ora che abbiamo soddisfatto la fame di sapere è il turno di saziare lo spirito ma soprattutto la carne.
E visto che il binomio farinata-pizza al padellino pare indissolubile, chi sono io per dividere ciò che la cucina ha unito? Proprio nessuno, infatti più che una domanda “Vi porto un pò di farinata nell’attesa” ci pare un caldo consiglio che io e Mirko abbracciamo con puerile entusiasmo.
Carichi come mine ci lanciamo nell’ardua impresa di scegliere due pizze da dividerci, e siccome di cultura ne abbiamo già elargita troppa, ci concediamo due pizze “ignoranti” (con affetto). Non potevamo non prendere la “Cit ma bon” con salsa di pomodoro, wurstel, cipolla e gorgonzola e la “Ciapinabò” (sempre per i non locals “Topinambur” una radice o tubero il cui gusto ricorda quello dei carciofi ndr) con: il sopracitato, acciughe, aglio e mozzarella. Quest’ultima, cito testualmente Mirko: “cartella”, quindi amici cari qui vi stiamo virtualmente gettando il guanto di sfida, sta a voi coglierlo.
Da veneratrice della pizza napoletana ho sempre guardato con un occhio scettico le dimensioni della pizza al padellino, ma chissà forse i 30 e un metabolismo non più da giaguaro delle nevi (parlo per Mirko, obv) o forse la maturità e i denti del giudizio, mi hanno fatto riscoprire un tenero amore, tipo quello di mia nonna che ripensa alla sua crush del primo dopo guerra, per la pizza torinese vintage ma per nulla demodè…

Sbarcando dal vascello di Cit ma bon alla vostra sinistra troverete la romanticissima Via Monferrato (sì, quella degli ombrelli colorati tra cielo e terra) e se volete altre dritte su Borgo Po Laura ha quello che fa per voi.
Arvëdse bej fijeuj!
All images © 2020 Mirko Mina