Le Torri di Milano: Torre Velasca

Rosa Giulia Luppino Pubblicato il 28 Gennaio 2020
Milano Torre Velasca

Dagli anni Cinquanta fino all’avvento dei grattacieli contemporanei, lo skyline di Milano è stato dominato da pochissimi elementi, oltre alla Madonnina. Uno di questi è la Torre Velasca che, con i suoi 106 metri, oggi è scesa all’undicesimo posto nella classifica dei grattacieli più alti della città. Progettata nel 1950 dallo studio milanese BBPR, è stata da subito oggetto di critiche a causa del suo distacco dagli standard dell’architettura razionalista internazionale, ben rappresentati ad esempio da un altro edificio che difficilmente si direbbe suo contemporaneo, il Pirellone.

Torre Velasca
Piazza Velasca 3/5 | Milano
MM3 Missori

© 2019 Simone Sangalli

Una Torre per Milano

Nel 1950 lo Studio BBPR (fondato dagli architetti Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers) riceve l’incarico di progettare un complesso polifunzionale “di altezza eccezionale” a poche centinaia di metri dal Duomo, su alcune aree distrutte dai bombardamenti alleati.

La torre deve la propria fama, non solo italiana, al volume superiore a sbalzo che compare fin dai primi progetti. Questa scelta è stata soprattutto funzionale, in quanto le abitazioni (dal 19° al 25° piano) necessitano di una profondità e luce maggiore rispetto agli uffici e agli studi professionali con abitazione annessa (dal 2° al 17° piano).

© 2019 Pietro Dipace

Il progetto dei BBPR

La torre è interamente realizzata in cemento armato con rivestimento in pietra. I motivi di questa scelta sono stati sicuramente economici (una struttura “moderna” in acciaio e vetro avrebbe avuto costi troppo elevati per gli standard del dopoguerra) ma anche per la volontà dei BBPR di armonizzarsi il più possibile con l’architettura della città. Tutti i prospetti dell’edificio sono scanditi da una struttura portante volutamente evidenziata che emerge anche nelle travature oblique del quindicesimo piano. Il telaio strutturale è tamponato da pannelli prefabbricati in cemento e graniglia di marmo rosato disposti in maniera irregolare lasciando spazio a finestre e balconi in un gioco apparentemente casuale di pieni e vuoti.

torre velasca milano
© 2019 Pietro Dipace

Un tradimento al Movimento Moderno

La forma e i colori della Velasca dialogano con la torre del Castello Sforzesco, con le guglie gotiche del Duomo e con l’atmosfera della città di Milano. Ed è proprio questa negazione della purezza e standardizzazione delle forme, dell’estraneità al contesto con cui si era imposta a livello internazionale la tipologia di edificio alto, che rende la Torre Velasca unica ma allo stesso tempo “scandalosa”. Alla presentazione del progetto al CIAM (Congresso Internazionale di Architettura Moderna) i BBPR furono in un certo senso accusati di “tradimento” nei confronti del Movimento Moderno internazionale: una “ritirata italiana dall’architettura moderna”.

Ernesto Nathan Rogers si difendeva: « Il nostro proposito principale era quello di conferire a questo edificio il valore profondo della nostra cultura – l’essenza della storia -, non abbiamo mai avuto intenzione di imitare le forme del passato, soltanto il desiderio di comprendere ciò che è successo prima di noi »

Malgrado l’indubbia valenza progettuale, la Torre Velasca è ancora oggi una delle architetture meneghine più commentate e discusse, rimanendo un caso isolato in un panorama di grattacieli tuttora standardizzati e tutti uguali tra loro. Quello che è certo è che grazie alla qualità tecnico architettonica con cui è stata realizzata, la Torre porta bene i segni del tempo, e i suoi uffici e appartamenti vista Duomo (molti dei quali conservano gli arredi originali) sono ancora oggi molto ambiti.

torre velasca milano
© 2020 Pietro Dipace