Lucia di Parma
Ci sono luoghi che non si possono raccontare, se non facendo cenno alle madeleine di Proust. In essi un profumo, un colore o un insignificante dettaglio riescono a proiettarti in momenti passati, a rievocare vecchie sensazioni ormai sopite e a trascinarti in un viaggio nel tempo altrimenti impensabile.
La Villa Floridiana è ascrivibile, per me, tra questi luoghi. Ne ho ricordo da quando mi ci portava mia madre, per distrarmi tra le sessioni di shopping vomerese, fino ai filoni al liceo, passando per i picnic sul pratone e i pomeriggi alla ricerca di sole e tranquillità.
Poi capita che si cresca e si diventi frenetici e alla ricerca spasmodica di posti nuovi, dimenticando quasi quelli che ci hanno visto crescere. Complice poi una lunga chiusura causata dall’incuria, mancavo qui da un numero imprecisato di anni.
Oggi però splende il sole, il parco ha riaperto da meno di un mese e ho mezza giornata libera che coincide con la mezza giornata libera di Gabriella, decido perciò senza troppi preamboli che passeremo il pomeriggio alla ricerca degli angoli più reconditi della mia memoria e assieme del parco che giuro di conoscere meglio delle mie tasche.
In sella al motorino, dal centro raggiungiamo il Vomero, la collina su cui sorge la Villa, in una manciata di minuti e cariche di aspettative.
Villa Floridiana | Via Domenico Cimarosa 77 | Napoli
Orari di apertura | Lun – Dom: 08:30 – 19:30
Ingresso libero
Accediamo da uno scenografico cancello sormontato dalla scritta dorata La Floridiana.
È il primo colpo al cuore, la prima madeleine per la mia mente. Per la me bambina rappresentava l’ingresso di un mondo fatato il cui nome non poteva che riferirsi ai fiori che avrei presto ammirato. Scopro invece che la Villa è così chiamata in onore di Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia e moglie morganatica di Ferdinando I di Borbone, il “Re Nasone” che l’aveva sposata in gran segreto nel 1814 (la mia omonimia con la duchessa di certo non è un caso, quindi ne approfitto per fare un appello pubblico: se volete dedicarmi un parco, non siate timidi!).
Soffoco la voglia di saltellare ovunque che mi prende appena scorgo un po’ di verde, e iniziamo la passeggiata lungo il viale principale, puntellato da piante di acanto in fiore.
Lì riconosco quella grotta dove per ore intere ho accarezzato i gatti (ce ne sono circa 70!). Quella scala in passato era percorribile (come molti sentieri che più tardi scopriremo transennati). In quella casetta semicircondata da bouganville ho sognato di vivere milioni di volte.
Il parco di stile romantico nasconde segreti che sono convinta di conoscere solo io, oltre a pini, platani, cipressi, lecci e un boschetto di camelie. La vegetazione è merito del direttore del Real Orto Botanico Friedrich Dehnardt, mentre molti elementi paesistici sono opera dell’architetto Antonio Niccolini e del genio Lamont Young: grotte, dirupi, finte rovine, fontane e statue ancora in parte esistenti.
Seguendo il percorso principale e oltrepassando la villa (su cui mi soffermerò più tardi), si arriva ad uno scalone intervallato da un pozzo e da una vasca abitata da numerose e fameliche tartarughe. Il panorama che si apre davanti ai nostri occhi dissuade Gabriella dalla necessità di acquistare cibo per le nostre nuove amiche: il golfo di Napoli si presenta più bello che mai e ci fermiamo qualche minuto in religioso silenzio.
Parto alla ricerca del tempio dorico, ma stavolta la memoria fa cilecca e ci ritroviamo in una zona interdetta. Chiedo allora ad una arzilla nonnina a passeggio con nipotina e cane (senza lasciarmi scappare l’occasione di accarezzare un po’ Neve, che in realtà è decisamente beige) e ci dirigiamo spedite lì dove ho iniziato a credere di vivere in una cartolina inquadrata da colonne bianche. Il colpo d’occhio è notevole ed è apprezzato anche da diverse coppiette. Ah, l’amour!
Un museo di Arti non così “minori”
“Museo nazionale della ceramica Duca di Martina”
Via Domenico Cimarosa 77 | Napoli
Orari di apertura | Lun – Dom: 09:30 – 17:00; Chiusura settimanale: martedì
Biglietto intero: € 4,00
Forse perché da giovanissima non ero poi così interessata alle arti decorative, non ero mai entrata nel museo dedicato alle ceramiche che trova spazio nell’imponente villa in stile neoclassico. Adesso che mi atteggio a designer di interni (almeno a casa mia), è arrivato il momento di lasciarmi ispirare da una delle più ricche collezioni italiane di circa seimila opere di manifattura occidentale e orientale, databili dal XII al XIX secolo. E in effetti ci trovo molti oggetti che non mi dispiacerebbero mica sul mio secrétaire IKEA: maioliche seicentesche, vetri di Murano, ceramiche di Capodimonte, porcellane orientali. Soprattutto invidio gli innumerevoli oggetti a tema botanico e il carlino dallo sguardo assente.
La visita si sviluppa su tre piani e comprende scaloni colorati, specchi dai riflessi infiniti e finestre sul blu del mare più blu.
È pomeriggio inoltrato ormai, la stanchezza comincia a farsi sentire, ma prima di andare via propongo a Gabriella un ultimo sforzo e ci inoltriamo tra i sentieri meno battuti. Alla nostra destra ci incanta lo spazio esterno di Villa Lucia (in passato facente parte del complesso della Floridiana e poi divenuta privata), che ci promettiamo di riuscire a visitare prima o poi.
Dopo una deriva avventurosa, riesco finalmente nel mio intento: davanti a me si aprono le due gradinate di platea del pittoresco Teatro della Verzura, circondate da una siepe di bosso e ricoperte di muschio. Tra i tanti è l’angolo a cui tengo di più, mi ci sedevo a leggere o anche solo ad ascoltare gli uccellini.
Proprio qui, e non è un caso, trovo un pezzo di carta, lo raccolgo e leggo tra gli adesivi e i cuori disegnati:
I wanna take you somewhere, so you know I care.
All images 2021 © Lucia di Parma