Se un giorno d’inverno un torinese avesse voglia di starsene finalmente per fatti suoi e di sparire per un po’, la “rive gauche” cittadina si rivelerebbe la destinazione perfetta. Via da piazza Vittorio, tanto grande da farci confondere nella folla, avvisiamo i nostri cari del fatto che per un paio di ore non ci incontreremo in Vanchiglia e spingiamoci con passo furtivo al di là del ponte. Salutiamo il Po con aria scaltra e puntiamo oltre l’egocentrica massa di miss Big Mommy of God. Dieci minuti a piedi o cinque in bici, ma la città è già diversa e meno nota: siamo pronti per perderci nel misterioso Borgopo.
Questo quartiere, spesso famoso per quella sottile emanazione di figaggine stile Cortina d’Ampezzo, e per certi incontri tutti Moncler, lupetto di mohair e piccoli cani col cappotto, nasconde in realtà un’anima speciale, elegante e indecifrabile. Borgopo, di fatto, è un groviglio di strade vecchie completamente disobbedienti alla geometria sabauda: tanto Liberty ma poche linee parallele, angoli bizzarri, piazze che spuntano a caso e, udite udite, delle S A L I T E, quelle conformazioni strane che a Torino non esistono. E invece qui ne trovate alcune segrete e davvero belle, che partono dalla cima del borgo e portano a perdersi fra i boschi della collina. Parlo più di storie di cinghiali&muschio che di ville, se amate l’avventura prendete nota. Con la mia solita voglia di fuga, sempre pronta a farvi conoscere luoghi insoliti, vi do il benvenuto per le strade Borgopoetiche di Torino.
Un vivaio segreto in mezzo alla città
Fra i palazzi di via Moncalvo, nascosto da un muro alto e rossiccio, superate il cancello del numero 47 e vi ritroverete nel giardino segreto della città. Una serra di vetro, una casa coperta di edera uscita direttamente da Piccole Donne, una foresta pluviale urbana e un giardino di piante, vasi, viali e alberi: il vivaio della famiglia Sgaravatti sta lì da anni eppure quasi nessuno lo sa.
La prima volta che ci ho messo piede, in autunno, volevo nascondermi dietro a un acero e restarci per ore, a leggere per fatti miei. Ora che è inverno mi piace passeggiarci al tramonto, perfetta pratica pre-Barbera. Ho tentato inutilmente di chiedere l’adozione alla famiglia che lo gestisce, e so già che in primavera, con l’esplosione dei fiori, mi piazzerò su una delle loro panchine ogni giorno, fino all’orario di chiusura. Qui, oltre a comprare piante di ogni genere, dimensione e destinazione, trovate concimi, attrezzi, arredi, consigli e soprattutto la bella sensazione di sparire per un po’, anche nella piccola Torino.
Storia della libreria rinata a Borgopo
Una zona così inusuale genera per forza movimenti speciali. E non è un caso quindi che qui, le librerie invece di chiudere riaprono (leggi con: urlo di giubilo nel cuore). Questa è accaduto alla Libreria Borgopo che dal settembre 2019 è rinata in via Ornato, grazie alla forza di volontà di Alberta Vovk. Con un misto di determinazione, ricordi dei nonni e un grande amore per il piccolo borgo, la giovane imprenditrice ha deciso che quel locale storico, gestito per tante generazioni da altre donne forti e inizialmente spacciato, dovesse tornare sulla mappa cittadina. Armata di coraggio e dedizione, Alberta ha risollevato gli scaffali dalla polvere e li ha riempiti di nuovo di libri: narrativa, saggi, viaggi, favole ed edizioni speciali. Elegante, silenziosa, accogliente e con un cortile interno tutto da scoprire, questa libreria oggi è un salotto confortevole dove rifugiarsi in cerca di storie, pace e consigli sinceri, regalati, su richiesta, dallo storico libraio Roberto.
Dolci perfetti e pane scrocchiarello: mangiucchiare a Borgopo
L’animo inquieto di noi poeti urbani, si sa, trova pace momentanea nei libri, ma si sazia solo davanti a un pezzo di pizza. Se siete di Roma poi, come la sottoscritta, la questione forno si fa delicata. Viziati dai pani del sud, noi romani inorriddiamo davanti a questi paninetti molli alla francese e cerchiamo disperatamente croste fragranti e scrocchiarelle. La panetteria di Corso Casale 32 è diventata così il mio paradiso. Pagnotte casarecce, ma anche Recco, salame al cioccolato (voto: 8), panini alla curcuma (voto: 8), pizza al taglio, crostata di albicocche (voto: 10). Lo spazio è elegante, i prezzi non sono bassi, ma il filone lo tieni una settimana a casa e lo divori con un goccio di olio d’oliva toscano, la fine del mondo.
Se poi anche voi come me avete uno stomaco B dedicato ai dolci, nel giro di pochi metri, in Corso Casale 2, trovate un altro tempio della gola: la Pasticceria Sabauda. Tonalità color Tiffany e vetrine molto eleganti non vi turbino, perché all’interno di questo locale si mangiano miracoli. Pasticceria da colazione: incantevole. La veneziana più buona della città la trovate qui. I micro bignè – decine di gusti – sono la mia tortura. Per sceglierli impiego 45 minuti, per mangiarne una scatola ne impiego 3. Le scatole, ovviamente, sono elegantissime anche da vuote. Le torte da portar via sono eccellenti ma le monoporzione le lascio a voi, a me non bastano. E se avete un cane gigante, purché educato, può accompagnarvi fino al bancone a prendere un caffè. Diciamo grazie alla signora Rosa, per aver gestito così la situazione dal lontano 2013.
Un Barbera sincero al piolino o il caffè migliore della città
Ed ecco come aprire e chiudere la giornata, senza perdere il fascino dello sconosciuto che è nato in voi passeggiando per Borgopo. Se siete dipendenti dalla pausa caffè, il Dopo Cafe, baretto blu petrolio su via Monferrato 18, sta facendo strage di cuori caffeinomani. Qui trovate solo caffè Kenon, nero, denso, napoletano, buono e profumato: in molti mormorano ormai che sia il migliore in città. I tavoli all’aperto e i dolcetti del sud venduti al bancone – babà, sfoglie, pasta di mandorle, zeppoline – fanno venire voglia di una sosta anche a chi non ha culti caffettari. I ragazzi del bar più piccolo di Torino sono simpatici e gentili. Sinceramente non vedo alcun motivo per non essere tutti già lì.
La sosta serale invece, già abilmente narrata dal nostro Bia, è di quelle da film (qui: gli aperitivi all’aperto a Torino). Il piolino di Via Monferrato per me è il mito della bevuta sincera e appartata. L’aria decadente, il legno scuro, la Barbera di Spertino servita al bancone, i salatini zozzi, il neon rosso, i tavoli fuori. Ci ho messo piede la prima volta durante il mio primo Natale a Torino. Saracinesca a metà, stiamo per chiudere, ma un bicchiere degli auguri te lo serviamo comunque. Le cose che contano sono le stesse che ti fanno tornare o sono quelle che ti fanno restare da questo lato del fiume; che una volta era un molo di pesca e una vasca per signore amanti del bucato e che di fatto, ora, è anche un po’ casa mia.
ps: la rive gauche menzionata all’inizio dell’articolo non è in senso geografico, ma sentimentale, grazie della comprensione.
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