Prima che nascessi, la mia famiglia viveva a Centocelle. La necessità di spazi più larghi e il fascino irresistibile della provincia laziale però, convinsero molto presto i miei a spostare baracca e burattini e a trasferirsi a circa 40km da Roma, nella zona dei Monti Prenestini. Qui mio padre cominciò a piantare alberi, coltivare frutta e verdura di tutti e generi e ad allevare animali. 30 anni dopo, a qualche zolletta di terra di distanza dal mio orticello nella campagna romana, un altro germoglio si preparava a sbocciare: quel germoglio prende il nome di Centorti, osteria culturale che, quasi in un movimento opposto al mio, decide di prendersi questa campagna e portarsela in città, insieme a tutto il buono che la provincia ha da offrire, col suo territorio, la storia e la cultura fatta di tradizioni povere ma strettamente connesse con la natura. Che sia in provincia o in città, mi piace pensare che se la mia vita fosse andata diversamente, in un modo o nell’altro io e Centorti ci saremmo incontrati lo stesso.
Centorti
Via dei Glicini, 46 a/b | Roma
Me – Sa | 19.30 – 00
Do | 13 – 15.30
Ma | chiuso
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Cento Orti più uno.
Dal ritmo lento della campagna laziale scandito da vendemmie, semine e raccolti, al dolceamaro caos della periferia romana: siamo a Centocelle, più precisamente da Centorti e la rinascita gastronomica di questo quartiere sembra passare proprio da qui. Giovani mani e teste in fermento come quelle di Luca & Eleonora non si trovano spesso in giro: lui agricoltore, lei cuoca, si rimboccano le mani e rilevano un piccolo terreno alle pendici del Monte Ginestro, a Palestrina, trasformandolo in una piccola azienda biodinamica.
Sono proprio i loro prodotti i primi a finire nel piatto, insieme a quelli della loro più grande risorsa: i cento orti che nascono intorno a loro, quelli dei piccoli produttori locali della provincia laziale (ma non solo), dai quali si riforniscono selezionando con attenzione prodotti stagionali, tipici del territorio, a volte dimenticati ma sempre coltivati nel totale rispetto della natura e dei suoi cicli.
Centorti si definisce Osteria Culturale, sottolineando così l’inestimabile valore sociale del cibo, dall’agricoltura alla ristorazione. Lo fa, non soltanto educando palato e papille gustative, ma anche stimolando la mente, raccontando un modo di mangiare fatto di riscoperta delle tradizioni, sostenibilità e creatività e servendosi di una rete fittissima di piccoli produttori locali. Una piccola, grande rivoluzione, un seme alla volta.
Ripartire dalla terra
Dai piccoli mercati contadini alle aziende agricole circostanti, la ricerca delle materie prime parte proprio dal territorio. Qualche esempio: a Palestrina, con l’olio d’oliva di propria produzione; a Zagarolo, con frutta e verdura di stagione dell’orto naturale di Pantasema; ad Artena con le uova di galline allevate a terra di L’uovo sano; a Roiate con il formaggio di capra di Floriani; a Frosinone con il pane di Le Faeda. Sono solo alcuni dei nomi che fanno parte di una grande comunità agricola diffusa, fatta di prodotti a km zero o a filiera corta ma soprattutto fondata su un’idea di agricoltura consapevole e sostenibile ispirata ai principi dell’agricoltura biodinamica di Carlo Noro. E’ proprio qui che Luca ed Eleonora si avvicinano a questa tecnica agricola, ripartendo dalla terra e dal suo nutrimento, attraverso un approccio più rispettoso e un lavoro di recupero delle proprietà del suolo, fiaccato da decenni di agricoltura convenzionale fatta di prodotti chimici e macchinari pesanti.
Bono tutto, ma che se magna?
Non c’è tradizione più agricola del pinzimonio: e quest’olio dioliva, prodotto nella loro azienda agricola a Palestrina, proviene da 5 tipi diversi di olive spremute a freddo. Ad accompagnarlo abbiamo scelto il Matre 2018, vino biodinamico prodotto a partire da un antico vitigno autoctono del frusinate, il Maturano (in questo caso è un blend di 60% Maturano, 40% di Trebbiano). Sì, perché anche l’etichetta dei vini parte da una selezione di vini naturali e biodinamici, in linea con l’anima del progetto. Ci sono anche i piemontesissimi vini di Rocco di Carpeneto, o le uve dal sentore vulcanico di Casa Setaro — che strizzano letteralmente il loro occhiolino dallo scaffale.
Continuiamo la nostra passeggiata culinaria nella campagna romana con un uovo cotto a bassa temperatura su crema di patate, crumble di nocciole e olio al crusco, una purea di cicerchia con misticanza (cicoria, ramolaccio, broccoletto e scarola) e crostini e una crocchetta di patate con zafferano formaggio e limone. Il tempo d’attesa tra un piatto e l’altro è il momento perfetto per lanciarsi in un elogio alle erbe spontanee, e a quanto è bello scoprire l’esistenza di varietà sconosciute ma così radicate nella cultura popolare locale.
Tra i primi non potevamo non provare gli gnocchetti a coda de soreca (un tradizionale tipo di pasta tipico della zona laziale) con zucca e guanciale di Mangalica, con fiori di rosmarino e di calendula a guarnire e i Ravioli “Pastificio Salomone”, con burro dorato, salvia e nocciole e rughetta selvatica sui ravioli. Merita una menzione d’onore anche la crema di ceci e cavolo nero con crumble di mandorle e timo, con fiori di calendula e di rughetta selvatica.
A fine pranzo mia nonna mi diceva sempre di lasciarmi uno spazietto per il dolce; e come non lasciare spazio alla panna cotta con composta di pesche e cioccolato (con panna artigianale della Latteria Gargiulo) o al Tiramislow, il tiramisù fatto con il Giglietto di Palestrina, biscotto tipico e Presidio Slow Food dal 2014 (che dalle nostre parti si festeggia ogni estate ad Agosto).
E infine, se c’è una cosa che sa di casa, più dei dolci al cucchiaio, è la pasticceria secca: la crostata (riempita al momento) con la marmellata di visciole, crema di ricotta e cannella e le ciambelline al vino.
La cosa che più mi ha esaltato della cucina di Centorti è la ricerca culturale e l’utilizzo poetico della componente vegetale e il modo sanno unire sapori semplici e materie prime per lo più dimenticate o sconosciute riuscendo a creare qualcosa di nuovo e inaspettato.
Me ne vado con la sensazione di familiarità che lascia un pranzo in campagna la domenica, ma mi basta girare l’angolo, e la città è ancora lì che mi aspetta, e così anche il treno per Torino. Prima di andare via però, i ragazzi di Centorti mi fanno un ultimo regalo: una preziosissima ampollina di zafferano (che producono loro stessi) da portare a casa con me. Salgo sul treno per Torino con lo stomaco pieno e qualche pistillo di zafferano nelle tasche, così so che ogni volta che vorrò tornare a quella campagna romana sempre un po’ lontana, mi basterà spolverarne un po’ sul piatto.
All images © 2023 Arianna Cristiano
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