Come molte città d’arte, anche Roma ha i suoi musei conosciuti in tutto il mondo. Oltre a questi ce ne sono alcuni sconosciuti anche agli stessi romani e che nascondono, anche in piena vista, dei veri e propri tesori. Molti sono case-museo di artisti o letterati. In alcuni sembra di entrare in casa di un nonno o comunque di un vecchio parente, luoghi in cui il tempo s’è fermato. Al museo Hendrik Christian Andersen si ha invece l’impressione di un atelier vivo, proiettato verso il futuro in cui l’artista potrebbe rientrare da un momento all’altro. Il Museo Hendrik Christian Andersen si trova nel quartiere Flaminio, a pochi passi da Piazza del Popolo, eppure già dall’esterno, la palazzina liberty ci da l’impressione di essere altrove e non a Roma.
Museo Hendrik Christian Andersen
Via Pasquale Stanislao Mancini, 20
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Martedì – Domenica. 9.30-19.30
Telefono: +39 06 3219089
Ingresso libero
Tre motivi per andarci
- Prima di tutto è un posto in cui essere davvero circondati dall’arte: le opere sono in ogni angolo disponibile, le sale sono un vero e proprio bosco di sculture.
- Poi è un luogo in cui sognare l’Utopia con la “U” maiuscola, quella della convivenza pacifica di tutti i popoli e dell’arte che, insieme alla scienza, allo sport e alla filosofia contribuisce allo sviluppo di tutto il mondo.
- Infine è solitamente poco frequentato e questo consente di godere appieno delle opere esposte.
Imagine all the people…
Un po’ come nella più famosa canzone di John Lennon, l’opera di Andersen è guidata dalla continua ricerca di un mondo privo di confini. Il fulcro della sua arte è il “World Centre of Communication”, un’utopica “Città Mondiale” in cui migliorare la condizione umana attraverso lo sviluppo perenne di arti, scienze, filosofie e anche attraverso la pratica dello sport e la spiritualità delle religioni. In uno dei due ampi saloni del pianterreno troviamo le mappe di questa città ideale e molte tra le sculture presenti sono state pensate e realizzate proprio per questo luogo che mi piace pensare ancora realizzabile.
Tanto bianco
Oggi sappiamo che l’antichità classica era piena di colori, lo stesso Partenone o le statue di marmo dell’AnticaRoma avevano dei colori estremamente vivaci, simili a quelli delle tavole di un fumetto. All’epoca di Andersen si era convinti che tutto fosse candido, esattamente come ritrovato dagli archeologi. Probabilmente i gessi e i marmi di Andersen non hanno colore per un richiamo al mondo classico, pur con un’evidente proiezione verso il futuro e con dei richiami all’arte nordica e all’art nouveau. Tutto questo candore ha qualcosa di imponente, facendo risultare ancor più colossali le sculture e al contempo donando loro leggerezza.
All images © 2019 Diego Funaro