Libreria del Golem: un luogo in cui imparare che “il posto perfetto è ovunque”

Giordana Falzea Pubblicato il 8 Gennaio 2025

C’è un fatto di cui sono sempre stato convinto: che alla fine le cose non te le scegli, ti succedono”.

Mi accoglie così Mattia. Baffi folti, occhiali rettangolari e maglia a maniche corte portata con l’orgoglio di un manifesto, quello dell’amore per Torino, la città in cui, ormai otto anni fa, ha dato vita alla sua libreria.

L’inizio di Libreria del Golem

“Avevo ventisette anni e una laurea appena presa in Storia. Volevo diventare professore, ma allora in Italia non ce n’era la possibilità; ho fatto duemila lavori di m*rda, finché non mi sono detto che forse, con questo mio essere una presupposta persona intelligente, potevo pure combinarci qualcosa. O almeno, questa è la versione poetica della storia. La realtà è che ho trovato per caso un annuncio di qualcuno che cercava di vendere una libreria”.

E così è nata la Libreria del Golem. Il cui nome, mi spiega, deriva dal libro esposto al centro di quel microcosmo di legno e carta in cui ci troviamo: La Tavola Smeraldina, un delirio un po’ psichedelico di un illustratore cileno ambientato in un futuro in cui l’umanità perde la guerra contro la tecnologia e crea una nuova razza, i Golem appunto, che manda in giro a rimappare l’universo. 

Il viaggio

La Tavola Smeraldina, racconta Mattia, è il diario di un Golem che parte con questo scopo e finisce per fondersi con una stella. È un po’ un’idea che fa parte di questa libreria, quella di cominciare da zero e scoprire strada facendo una mappa. In generale, sono felice quando sento qualcuno che ha un piano o delle idee ben precise, ma qui funziona così: puoi avere una tendenza, ma le idee te le fai man mano che vai”. E in questo andare, se scegli di guardarti intorno, scopri di non essere mai solo, di poter sempre contare sulla compagnia di un libraio attento.

La direzione

“Fregiarsi del fatto di essere una libreria indipendente, come se questo avesse un valore di per sé, non significa niente. Puoi entrare in una libreria di catena e incontrare un libraio che fa un buon lavoro, per cui non ci saranno edizioni particolarmente ricercate, ma tu sarai guidato in una buona selezione; puoi entrare in una libreria indipendente – ce ne sono moltissime in Italia – che è lo stampo di una libreria di catena, solo con un nome meno riconoscibile.”

Per questo, Mattia ci spiega che La Libreria del Golem è più che altro una libreria di proposta, perchè l’idea non è tanto avere i grandi classici (magari la Divina Commedia non la troveremo), ma qui sarà possibile scoprire delle cose che non conosciamo. Ed è proprio su questo – la curiosità di continuare a scoprire, il coraggio di affrontare l’inaspettato – che si è costruita la personalità del Golem.

E per Mattia sviluppare una personalità è allo stesso tempo incredibilmente complicato, ma anche incredibilmente necessario. “È una sfida che non riguarda le librerie di catena, ma che, quando si parla di librerie indipendenti, diventa ciò che stabilisce cosa sopravvive e cosa no. Se per convincere le persone a venire punti sugli sconti, fallisci. Rendersi riconoscibili, aiutare il carattere del posto a definirsi, sta tutto lì”.

Non avevo mai pensato a un luogo in questi termini. Mi scopro a vagare con lo sguardo su quelle spesse superfici di legno, tra i disegni appesi alle pareti e i mobili che dai racconti di Mattia so avere le provenienze più bizzarre – ce n’è uno, ad esempio, che un tempo ospitava la statua di una Madonna; lui lo ha visto in un cortile, si è offerto di comprarlo e, per tutta risposta, il mobile gli è stato regalato (senza la statua, però). Più mi guardo intorno più comincio a sentire la vita pulsante della Libreria del Golem. E, a quel punto, voglio sapere tutto di lei. Chiedo a Mattia e Anna, da qualche mese libraia al suo fianco, di parlarmene ancora, di dirmi di più.

L’identità della Libreria del Golem

Entrambi concordano su un punto: la personalità della libreria è il risultato di ciò che le è rimasto di tutti coloro che negli anni l’hanno frequentata abbastanza a lungo. Per Anna, è un luogo di nicchia, spontaneo, senza convenevoli. Un luogo in cui farsi delle idee.

Mattia fa sì con la testa, ribadisce che quello è un posto alla pari, di condivisione. In cui mai prendersi molto sul serio è il motto che accompagna un cammino in controtendenza.

“Il libro è spesso percepito come un bene posizionale, mi spiega, ma è un pezzo di carta compressa e incollata, è merce. Quello che c’è dentro ha un senso, il resto non vale niente. Certo, puoi avere il tuo feticismo, ma noi tendiamo a smitizzare questo tipo di narrazione del libro. A noi interessa conservare una certa semplicità, evitare costruzioni come siamo i librai quindi siamo più intelligenti e ne sappiamo di più. Sappiamo di più di quello che c’è qua dentro, per ovvie ragioni. Ascoltiamo tanto perché la componente umana per noi è tutto e ci innoviamo continuamente, che forse è il vero segreto del nostro lavoro.

Tante persone pensano che i libri abbiano un proprio posto ma non è vero. I libri stanno un po’ ovunque, come qualsiasi cosa. Partecipiamo al Club to Club, a Jazz is Dead, a certe feste di quartiere, e portiamo sempre i libri. È così che si costruisce un rapporto con gli altri, che le persone si affezionano: nello scoprire che i libri possono stare anche dove non ci si aspettava e che, persino in quei contesti, ci sarà sempre un libro che parla per noi”.

Qualche consiglio di lettura di Anna e Mattia

Passiamo ai consigli. Prima di salutarli, chiedo ad Anna e Mattia di indicarmi un libro che sia importante per loro o per la libreria. 

Anna mi dice che in quel periodo parla spesso di Pulita, pubblicato quest’anno e scritto da un’autrice cilena. Un racconto semiautobiografico, provocatorio, fatto di capitoli molto corti e costruito su un ritmo incalzante, che affronta il tema del lavoro – che a volte sfrutta, spesso svilisce – e della lotta di classe. Lo definisce un libro che ti mette in discussione.

Mattia, che nel frattempo ha girovagato un po’ per la stanza, torna con tre volumi in mano. “In questo posto, mi dice, loro sono imprescindibili.” 

  1. Il primo è Vogliamo tutto, un piccolo capolavoro su Torino, la storia di un ragazzo che arriva dal Sud Italia per lavorare alla Fiat con la sola convinzione che lavorare fa schifo, che incontra membri di sindacati, scopre idee nuove senza capirle fino in fondo, assiste a uno dei più grandi scioperi che ci siano mai stati a Torino: gli scontri con la polizia del ’69 a Mirafiori. Ed è scritto da Dio.
  2. Il secondo si intitola Le cose che abbiamo perso nel fuoco. Sud America. Scrittrici. Lei, Mariana Enriquez, probabilmente è la migliore dell’America Latina. È anche una giornalista e ha scritto questi racconti spettacolari – un po’ fantastici, molto horror. Quando qualcuno mi dice che non sa cosa leggere, la conversazione che segue è più o meno questa: Ti piacciono i racconti? No; Ti piace il Sud America? No; Ti piace l’horror? No; Bene, allora leggi questo. E funziona sempre. Secondo me la prendono come una sfida.
  3. Il terzo, Le vene aperte dell’America Latina, è un mostro sacro. Qua lavoriamo molto di saggistica, moltissimo di saggistica politica. È un libro di storia culturale ed economica su come prima gli europei, poi i nord americani e dopo ancora le corporazioni sono arrivati in America Latina e l’hanno devastata, rubando qualsiasi cosa. E il bello è che si legge come un romanzo

Passo in rassegna con gli occhi le copertine dei libri di cui abbiamo appena parlato. Lascio che lo sguardo scivoli su tutti gli altri. Moltissimi distesi nel grande tavolo al centro della stanza, tanti altri in piedi lungo gli scaffali. All’inizio della nostra chiacchierata, Mattia si era scusato perché “qui è sempre un caos”; ed io vorrei sapergli dire come si sta comodi, dentro quel caos. Ma non dico niente. Penso che, in fondo, lui lo sa già. 

“Questo lo compro!” esclamo invece prima di salutarci, le dita strette intorno al libro di Mariana Enriquez. Mattia sorride e scuote appena la testa. “Te l’ho detto, mi ripete, è la sfida”.

Da bambina, la regola che limitava a tre i perché che mi erano concessi al giorno. Gran parte di quello che è venuto dopo non è stato che il tentativo di trovare comunque le risposte.

Tutte le immagini sono di © Mirko Mina 2025

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