Guido Ristorante a Fontanafredda. Permettetevi di avere tempo

Monica Pianosi Pubblicato il 12 Marzo 2022
guido ristorante langhe

Non bisogna avere quarant’anni per trovare rifugio a Fontanafredda. Ne bastano pochi in meno, qualcuno in più.
Non c’è bisogno di essere alla ricerca di un posto dove ricominciare, qui si viene per respirare. Le colline si vestono di foglie da maggio a settembre. Ottobre e novembre sono mesi passati a correre. E quando le prime nevi si posano su queste terre, è questo il momento in cui trovare il tempo per pensare. O forse, è solo il momento per fermarsi. Sedersi a tavola. E ritrovarsi in un bicchiere di vino. O in un plin al tovagliolo.

Di Guido e della famiglia Alciati avrete già sicuramente sentito parlare (e se non ne avete sentito parlare… lmgify). Io di sicuro poco posso aggiungere a quello che già è stato detto sulla loro storia e sul loro modo di intendere la cucina. Perché mangiare, fare da mangiare, dare da mangiare per questa famiglia non è solo una cosa serissima; mangiare è uno stile di vita. Momento di ritrovo, accoglienza, condivisione.

Quello che mi preme raccontarvi di Guido è come vi sentirete quando vi sedete a tavola. Quanto riuscirete a rilassarvi sentendovi completamente a vostro agio nella casa che un tempo era della Bela Rosin (prima amante, poi moglie di Re Vittorio Emanuele II di Savoia, e quindi Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda). E quindi sì, venite con me e accomodatevi nelle stanze di quella che un tempo era la dimora di un grande amore, e che oggi accoglie l’amore per il cibo.

Pro tip: prenotate una notte in zona e non tornate a Torino dopo cena. Volete mettere risvegliarvi nelle Langhe?

Cosa si mangia da Guido Ristorante

È difficile raccontare (e raccontarsi) l’esperienza culinaria da Guido, perchè come tutte le cose belle, una volta che passa rimane quella sensazione di pienezza e di bellezza e quella leggera malinconia del ‘ma io ne voglio ancora’. Il menu è brevissimo e racconta di quello che la terra e la stagione ci sta offrendo (o permettendo di assaggiare).

Quando io e Fabio siamo andati a scoprire Guido era tempo di cardi e di rape. Ma era anche tempo di tartufo e con il tartufo il corteggiamento è infinito. I cardi li abbiamo assaggiati prima in purezza, con un filo d’olio, per assaporarne la genuinità del sapore. Poi con fonduta e tartufo per farci capire come un cibo tanto semplice e umile possa diventare protagonista di sapore di un piatto che ci racconta il Piemonte.

Quando è il momento del primo andiamo sul sicuro: io scelgo i tajarin al burro. Fabio invece i plin al sugo di arrosto. Quei plin che hanno una storia decennale, ma che ogni anno continuano a rinnovarsi e a rimanere contemporanei. Nei gusti. Nei modi. Negli ingredienti.

Infine, il mio momento preferito, quello del carrello dei formaggi. E probabilmente anche il momento preferito di Fabio con la guancia, di cui io avrei tanto voluto assaggiare i pak choi, verdura che amo e che qui è rigorosamente cresciuta in Langa. La bellezza di questo carrello dei formaggi, oltre alla bontà, è che possiamo chiamarli tutti (o quasi) per nome e che vengono recuperati personalmente da Piero Alciati in Valchiusella. La maggior parte infatti arriva da Le Tome di Villa, allevatori di formaggi che affina le tome che vengono prodotte negli alpeggi in valle. Ogni toma prende il nome del pastore che le prepara. Così sarà possibile assaggiare la Toma Vittorio o Olga, ma anche Beppe, Giovanni o Stefano. Io una che fosse più buona dell’altra non l’ho ancora trovata, ma qualcuno mi ha suggerito che per scegliere la vostra toma, se vi piace forte e saporita, dovete scegliere quella più sgarruppata che c’è!

I produttori di Guido. Il cibo. La filosofia

Che il cibo sia molto più che semplice nutrimento qui da Guido si capisce fin da quando ti siedi. Ti accomodi. Ti rilassi. E inizi a respirare vita e consapevolezza. La consapevolezza di qualcuno che ha trovato il suo posto nel mondo qui; quel posto che non è scontato e non è dovuto a nessuno, ma che si crea con la fatica e con l’impegno. Un posto nel mondo che è quello di portare la ristorazione nel futuro e cercare di creare qualcosa insieme ai giovani, che quel futuro lo vivranno.

Un posto nel mondo che dà attenzione a ogni ingrediente e si chiede ‘quanto tempo dura la stagione delle ciliegie di Pecetto?’. ‘Qual è il momento migliore per disotterrare i cardi gobbi di Nizza Monferrato?’. Possono sembrare domande semplici, ma sono sintomo di attenzione al territorio e di una ricerca non solo del tempo migliore per ogni ingrediente, ma anche di trovare l’accordo giusto tra uomo e natura.

Così è l’uomo che deve adattarsi alla natura e non viceversa. È l’uomo che dovrà capire come mantenere l’autenticità e l’unicità dei suoi gusti in un tempo e in un clima che cambiano. È l’uomo che dovrà decidere cosa nutrire per poter nutrire se stesso. È l’uomo che dovrà pensare a come ricostruire e rigenerare la terra da cui viene per permettergli di fiorire di nuovo. È la natura, non l’uomo, ad avere tempo e noi possiamo solo permettergli di fare il suo corso e cercare di danzare con lei.

Tempo permettendo

Il progetto relativo alle materie prime selezionate personalmente da Ugo e Piero Alciati si chiama ‘Tempo permettendo’. Perché è grazie al tempo (inteso in senso climatico, ma anche temporale) che possiamo godere di quello che arriva nei nostri piatti. Delle pesche di Volpedo dell’azienda agricola La Montemarzina. Dei cardi dell’Azienda Agricola Gatti Giovanna in provincia di Asti. Delle trote dell’Azienda Agricola Bovio Manuel a Traversella. E della frutta e della verdura per cui lavorano non uno, ma tre orti tra Fossano, Alba e Castelnuovo Scrivia.

Perchè il tempo crea bellezza e la bellezza nella vita è trovare, anzi creare, tempo per le cose a cui teniamo davvero.

Il mio tempo da Guido per ora è terminato. Lascio a voi lo spazio.

Ah sì, Guido ha una stella Michelin. Non ve l’avevo detto? Beh lo sapevate già no?


All images © 2022 Fabio Rovere

“Fausto aveva quarant’anni quando si rifugiò a Fontana Fredda, cercando un posto dove ricominciare.”
L’inizio di questo articolo è un chiaro richiamo a La felicità del lupo, libro scoperta dell’anno che ho letto proprio nei giorni in cui andavo a Fontanafredda per la prima volta. Non potevo non fargli un omaggio.