Ce li vedrei bene, Kyriaki e Giuseppe, i due volti di Valdisole, aizzare una grande bandiera pirata sulla cima dell’alta collina che domina i loro cinque ettari di vigneti, aperti a ventaglio sull’anfiteatro naturale che guarda dritto alla torre di Cornegliano d’Alba, in Roero. E vederla poi sventolare nel cielo, mentre il corso perpetuo del sole e delle stelle segna – oltre alle rotte di fantastici vascelli – anche i tempi dell’uva e della campagna.
Valdisole – Di vite si vive
Località Castellero, 15 bis | Neviglie (CN)
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C’è, in effetti, nella visione enoica di Giuseppe e Kyriaki, qualcosa che mi ricorda un certo tipo di spirito piratesco d’altri tempi. Un approccio corsaro: onirico – persino folle, a tratti. Guidato da uno sperimentalismo a oltranza: da un cuore nomade e anarchico. I vini di Valdisole sono colpi di cannone tirati tra le acque di quella che è – a detta di molti – la zona vitivinicola più importante d’Italia. I colli di Langa e Roero.
E c’è da dire che tra i colli di Langa e Roero, ultimamente, ci bazzico abbastanza. Così, un rovente pomeriggio di un paio di mesi fa, con la valida compagnia di Monica e Arianna, abbiamo preso il largo per conoscere questi improbabili pirati.
Una vigna su Subito.it
Il personale ingresso di Giuseppe e Kyriaki nel mondo del vino è anticonvenzionale – anche questo corsaro, a suo modo. Entrambi hanno percorsi di vita che, perlomeno inizialmente, niente hanno a che vedere con la viticultura e l’enologia. Lei, greca d’origine, dopo gli studi in ingegneria informatica ed elettronica, si trasferisce a Torino per lavoro. Poi, più per trovare un modo come un altro per migliorare il proprio italiano, decide di iscriversi a un corso di sommellerie. Qui, riscopre il piacere e la cultura del vino, e conosce Giuseppe.
Anche lui, nato a Torino, ma di origine calabrese, nella vita fa tutt’altro. Nello specifico: importa pesci tropicali per acquari, ebbene sì, un mestiere che non sapevo neanche esistesse. E pur non avendo una famiglia di vignaioli alle spalle, quando i due si incontrano, cominciano a macinare l’idea di provare a fare il vino. Anche soltanto per gioco, e per il gusto di farlo. E una sera del 2015, navigando non per mari in cerca di isole del tesoro, ma su internet, trovano mezz’ettaro di vigneto in vendita su Subito.it.
Quello che sembra uno scherzo, è l’atto di nascita di Valdisole. Che nei successivi otto anni, arriverà a espandersi fino a toccare gli attuali cinque ettari. Destinati forse ad aumentare ancora di poco, anche se – mi confessa Giuseppe – “questa è la grandezza giusta per permetterci di lavorare la terra nel modo che piace a noi”.
L’anfiteatro libero di Valdisole
La cantina, nuovissima e ancora in fase di ultimazione, si trova a Neviglie. Un paese appena al di fuori della DOCG Barbaresco, dove possiedono anche un piccolo vigneto di Malvasia Moscata. Il grosso delle vigne, invece, si trova nell’anfiteatro di Valdisole, una lunga porzione di collina che si allunga a mezzacosta disegnando una specie di ferro di cavallo. Davanti si alzano le chiome di un bosco, e poco oltre, guardando a sud, i tetti e la torre di Cornegliano d’Alba. Dell’ampio areale della Roero DOCG, ci troviamo per la precisione nella piccola sottozona chiamata Val di Stefano.
In mezzo ai vigneti, scavata su una parete di bianca roccia sabbiosa, c’è una piccola grotta. Anni fa, ci raccontano, ai tempi dei fascisti, questo rifugio di fortuna fece da riparo a un renitente di leva, che si era rifiutato di andare a farsi uccidere chissà dove, per un’idea che manco gli apparteneva. Una terra ostinata e contraria, libera, quella di Langa, Roero e Monferrato, dove la Resistenza si è combattuta in vari modi. E sui ripidi pendii che adesso vengono attraversati dalle vigne di Valdisole, già un tempo soffiava un certo spirito corsaro.
Vinificazione selvaggia
Dai cinque ettari di vigne di Valdisole ogni anno vengono prodotte all’incirca ventiquattromila bottiglie. Una piccolissima e preziosa produzione vinicola, che si traduce in oltre venti etichette! Numeri folli, a pensarci bene. Quasi un’etichetta ogni migliaio di bottiglie. E le ragioni di questa scelta sono almeno due. In primis la grandissima varietà di uve presenti tra i loro filari, non soltanto Arneis e Nebbiolo (i vini per eccellenza del Roero), ma anche Malvasia Moscata, Moscato Bianco e Rosso, Pelaverga, Traminer e così via. Ma è soprattutto il vibrante desiderio di sperimentare in cantina che ha portato Kyriaki e Giuseppe a vinificare separatamente piccole parcelle di vigneto, utilizzando per ciascuna tecniche e tempi di lavorazione differenti. Un approccio selvaggio e radicale alla vinificazione, che fa sì che molte etichette siano state il frutto di una singola annata. Oppure, che di uno stesso vitigno vengano prodotte diverse etichette, ognuna con delle caratteristiche peculiari (come nel caso dei loro molti Arneis, in purezza e non). È in questa sperimentazione a tratti maniacale che si impone il pensiero enoico di questa cantina: l’essenza libera e anarchica del loro vino. Una visione che scioglie ogni legame con il territorio.
I vini di Valdisole, infatti, parlano molto più della mano e dell’idea di chi li produce, che della zona da cui provengono. Non si riconosce una fisionomia identitaria che possa rimandare alle colline di Langhe e Roero (e infatti non escono in nessuna DOC né DOCG). Sono vini in cui prevale lo stile: dove è chiara l’ispirazione ai grandi maestri della macerazione (vini che, soprattutto nei bianchi, guardano a est: al Friuli, alla Slovenia, alla Georgia e all’Armenia). Vini che arrivano da quel tipo di mondo, da quel tipo di modo di fare il vino.
Per una diversa grammatica del vino
Mentre arrivo a parlare più nel dettaglio dei vini, per una serie di ragioni mi rendo conto di trovarmi in difficoltà. Nei giorni che hanno preceduto la stesura di questo articolo, ne ho approfittato per aprire una dopo l’altra la scorta delle cinque bottiglie più rappresentative di Valdisole, che mi ero fatto andandoli a trovare. Cinque bottiglie, perché una scelta tra le oltre venti etichette era necessaria (impossibile, oltre che inutile, sarebbe stato passare al setaccio la folle e immensa produzione sperimentale di questa cantina). La difficoltà non sta nel giudizio, che non è soltanto positivo: è, per certi versi, emozionante.
Assaggiare i vini di Valdisole è stata un’esperienza illuminante. Soltanto nel confronto con vecchissime annate mi era capitato di approcciarmi a un bicchiere in una maniera tanto cerebrale. Il vino – non sempre, per fortuna – è una forma di meditazione. E i vini di Valdisole sono complicati. Non tanto complessi (un tratto che li unisce è sempre una beva facile e improntata alla freschezza, talvolta a lamate d’acidità da spettinarti i capelli), ma proprio complicati. Complicati nell’esecuzione, per il pensiero laterale di chi li produce, ancor più complicati nel consumo. Richiedono tempo per essere capiti e talvolta domati: ascoltati.
Riconosco una grammatica che si muove da un vino all’altro. Ma è una lingua oscura, enigmatica. Il sorso è vibrante e materico. Tanto nei rossi, esili ed eleganti. Quanto nei bianchi, ammalianti e terrosi, frutto di lunghissime macerazioni (che in molti casi superano i sei mesi!). Anche la trama olfattiva, spesso, si sviluppa lungo sintassi tortuose, dove ancora una volta è lo stile a prevalere sul varietale: volatili, ossidazioni e note d’appassimento concorrono a completare un quadro aromatico, che pur non essendo sempre preciso, è ogni volta diverso e sorprendente. Una caccia al tesoro senza fine: maestria di pirati, s’intende.
Cinque di Venti: i miei vini di Valdisole
Ok, forse ci siamo persi un po’ troppo per massimi sistemi. Ma quando mi parte l’embolo mi lascio trasportare dai ragionamenti. Passiamo al concreto. Questi i cinque vini di Valdisole che hanno stimolato il delirio che avete appena letto. Come tutti i loro vini, portano un nome legato a un concetto della cultura greca: un omaggio, forse, alle origini di Kyriaki (e della nostra storia occidentale).
Elektra: “materiale splendente”, una Malvasia Moscata in purezza, avvolgente e in allungo salino. Fumo di zampirone, noccioli di pesche, bassa marea.
Aura: “soffio di vento”, un Moscato Bianco in purezza, etereo e roboante. Albicocche disidratate, miele di castagne, fieno appena colto.
Anarchia: “senza comando”, Arneis appassito e poi ripassato su bucce di altre varietà aromatiche (di cui ho già scritto qui). Tarte Tatin, infuso di tiglio e gelsomino, acciuga.
Pnoi: “spirito”, rosato di Nebbiolo in purezza vinificato come a metà ‘800 (con leggero residuo zuccherino e ossidato). China, mandorle, terra bruciata.
Amos: “forte”, Nebbiolo in purezza: sua maestà. Il classico re di Langa, ma più snello e ammiccante. Viola, ciliegia, anice stellato.
Seguiamo una rotta, senza nemmeno sapere dove andare: cerchiamo arcipelaghi pirati.
All images © 2023 Arianna Cristiano
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