Lo Straniero. A Torino, un ristorante malesiano che racconta il mondo (e molto di più)

Monica Pianosi Pubblicato il 16 Aprile 2025
lo straniero malesiano torino

Quando ho scoperto che aveva aperto un ristorante malesiano a Torino sono rimasta da un lato molto incuriosita e dall’altro molto stupita. Sono stata infatti in Malesia qualche anno fa e (purtroppo) non ricordavo famosi piatti tipici, ma piuttosto una cucina molto contaminata da tutti i popoli che si sono affaccendati in questa terra. E infatti Lo Straniero racconta proprio questo. È un luogo fatto di incontri e contaminazioni, dove il cibo è solo il punto di partenza.

Nato nel 2024 da un’idea di Justin Yip, giovane malese laureato in Scienze Gastronomiche a Pollenzo, il locale si trova in una piccola via nel quartiere San Donato, in una palazzina ad angolo super pittoresca. Ma la storia di Justin inizia molto prima, e inizia su un’Apecar.

Dal satay su ruote a un bistrot con anima

La storia di Justin inizia nel 2017, anno in cui si presenta davanti al Politecnico con una cucina su tre ruote e un’idea chiara: proporre i satay, spiedini di pollo marinati nel latte di cocco e serviti con salsa di arachidi piccante. Funziona subito, ma l’Apecar ha i suoi limiti. È stagionale, dipende dal meteo e dai calendari universitari. Così, dopo qualche anno e tante prove, Justin decide di fare il salto: cercare un locale e aprire un ristorante vero. Lo trova nel 2021, lo ristruttura con pazienza (e tanto gusto: terra cruda, sabbia del Po, oggetti scovati nei mercatini), e nell’estate del 2024 apre le porte di Lo Straniero.

Non solo Malesia

Sul menu ci sono piatti tipici come il nasi campur – riso con contorni a scelta, da comporre secondo i propri gusti – il rendang (spezzatino speziato cotto a lungo), le frittelle di verdure e gli involtini con castagne d’acqua. Ma ci sono anche incursioni nel Medio Oriente, nell’America Latina, nella Turchia, nella Persia.

Alla fine a me piace mangiare bene”, dice Justin, “e se posso farlo condividendo tavola e storie, meglio ancora.” Così nascono i pop-up tematici: una settimana messicana con tortillas fatte a mano, una cena turca con foglie di vite ripiene, una serie di serate per il Thanksgiving americano. Ma non con l’idea di essere un ristorante fusion: è una cucina che accoglie.

Una squadra che è una mappa del mondo

Lo staff di Lo Straniero è variegato quanto il menu: Tümay dalla Turchia, Alexis dall’Argentina, Antonio e sua sorella dalla Sicilia, Rifan dal Kurdistan. Molti di loro si sono conosciuti sui banchi dell’Università di Pollenzo, sui social, o grazie a progetti con associazioni del territorio come Trame. Alcuni erano clienti, altri lavapiatti che sono diventati soci. “Per me questo ristorante è sempre stato una somma di incontri. Non voglio solo servire cibo: voglio creare uno spazio dove le storie si intrecciano.

Porta Palazzo, patria degli ingredienti

Il cuore delle ricette resta torinese. O quasi. Gli ingredienti arrivano in gran parte da Porta Palazzo: “Ogni volta che mi chiedono ‘dove hai trovato questo?’ la risposta è sempre la stessa: Porta Palazzo.” C’è un negozio vietnamita che importa tutto il necessario per la cucina del sud-est asiatico, una signora thailandese con un albero di kaffir lime nel cortile di casa, contadini cinesi che coltivano zenzero e citronella in Piemonte. Anche il vino è locale: “Sarò pure malese, ma sul vino resto italiano. Il vino piemontese ha una profondità che non si batte.”

Lo Straniero: un’identità (e un invito)

Il nome Lo Straniero racconta tutto. Non è solo Justin lo “straniero” arrivato da lontano. Straniero è chiunque porti una cultura diversa, chi si mette in ascolto, chi si avvicina senza paura. Straniero è chi mescola, chi cambia, chi invita gli altri alla propria tavola.

Ed è forse proprio questo che rende Lo Straniero un progetto così torinese: perché Torino, città da sempre di passaggi, migrazioni e trasformazioni, è il luogo perfetto per un ristorante che non vuole essere solo un posto dove mangiare, ma un posto dove incontrarsi.

Da quando ho iniziato a interessarmi di sostenibilità sono diventata vegetariana, ho venduto la macchina e ho preso un PhD. Ma non chiedermi di smettere di viaggiare.

Tutte le immagini sono di © Mirko Mina 2025

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