Cantina Ca’ del Baio, un viaggio nella Langa del Barbaresco

È una mattina di fine maggio e – insolitamente – splende un timido sole primaverile. Sull’asfalto bagnato di Corso Marconi, mentre aspetto che arrivino Monica e Mirko, vedo i segni dell’ultimo nubifragio che puntellano di foglie e rametti la strada. Per fortuna non ha grandinato, dico tra me e me pensando alla macchina parcheggiata a pochi metri di distanza. Che poi è lo stesso timore che attraversa i pensieri dei tanti vignaioli e vignaiole che in questi mesi di incertezze climatiche lavorano ogni giorno e ogni ora per salvare quest’annata 2024.
Scendendo dalla città verso i colli della Langa del Barbaresco, mi lascio cullare dalla trama infinita dei vigneti: che da anni non vedevo così floridi e verdi. Ennesimo cortocircuito di questo clima impazzito. Ed è nel mezzo di questi pensieri che arriviamo nella cascina Ca’ del Baio – accolti da una scenografica arena di filari rigogliosi.




La Langa di Barbaresco
Le Langhe sono un arcipelago complesso, tanto riconoscibili nella loro iconica identità quanto frastagliate nella pluralità di voci enologiche che compongono questo straordinario mosaico.
Seguendo il corso del Tanaro, dalle fonti del Saccarello sulle Alpi Liguri fino alla sua confluenza nel Po, le prime che si incontrano sono le Langhe di Barolo, che da Verduno si distendono verso l’Alta Langa fino a Monforte. Superate poi le Torri di Alba (e gli effluvi di cioccolato e nocciole che si spandono per la città) si arriva nella Langa di Barbaresco. I comuni che rientrano nell’areale della denominazione sono 3 e mezzo: Barbaresco, Neive, Treiso e la frazione albese di San Rocco Seno d’Elvio. Terre leggendarie, battezzate nel tardo Ottocento da Domizio Cavazza, agronomo modenese che per primo intuì il potenziale vitivinicolo di queste colline, e poi consacrate nella seconda metà del Novecento nel gotha dei terroir mondiali dal lavoro indefesso di vignaioli del calibro di Bruno Giacosa e Angelo Gaja (per limitarsi a una coppia di nomi).
Pur condividendo lo stesso vitigno (sua maestà il Nebbiolo), rispetto al cugino Barolo, il Barbaresco si esprime in maniera molto diversa. Complice la peculiare conformazione geomorfologica (semplificando all’osso i terreni dell’areale si caratterizzano per le cosiddette “Marne di Sant’Agata Fossili”, per i comuni di Barbaresco e Neive, e per le “Formazioni di Lequio”, per il comune di Treiso e la frazione di San Rocco) e un minore affinamento stabilito dal disciplinare (26 mesi di cui 9 in legno, contro i 38 mesi di cui 18 in legno del Barolo), il Barbaresco si rivela come un vino più slanciato, elegante, ‘snello’ e pronto.




Ca’ del Baio, storia di una famiglia
Ad accoglierci nella cascina di Ca’ del Baio, a Treiso, c’è Valentina, che ci viene incontro veloce con gli occhi sorridenti. Insieme a lei, Paola e Federica fanno capolino per alcuni minuti a salutarci, poi corrono via prese dagli inderogabili impegni di cantina. Sono giorni di imbottigliamento, ci dicono. Tutte e tre sono la quarta generazione della famiglia Grasso che coltiva e vinifica le uve nel territorio del Barbaresco. A oggi sono 38 gli ettari vitati, gran parte dei quali circondano i lati della cascina a Treiso, e poi ancora a Barbaresco (dove risiedono 2 delle 3 MGA della cantina: Pora e la leggendaria Asili), e infine a Trezzo Tinella, in Alta Langa, dove tra le fresche brezze ventilate di quelle alture troviamo le bacche bianche: Chardonnay e Riesling.
Valentina ci guida per le sale della cantina e lungo la storia della sua famiglia. Vediamo le prime grandi etichette, come l’Asili ’88, primo millesimo di questo Cru per l’azienda. E poi ancora nella bottaia, dove corre lunghissima una fila di grossi botti in rovere francese, austriaco e di slavonia. E dove riposa a lungo il vino “atto a divenir Barbaresco”. Valentina ci travolge con la passione sincera che anima il suo lavoro. Ci racconta delle ultime novità della cantina (come l’installazione di un sistema di raggi ultravioletti nella bottaia, usato per prevenire la contaminazione da Brett); e delle sfide di essere una generazione tutta al femminile alla guida dell’azienda in un mondo tradizionalmente ad appannaggio maschile. Ma soprattutto ci ammalia raccontandoci la storia che si nasconde dietro a ogni etichetta – dalle più storiche alle più recenti.
E poi ancora l’origine del nome Ca’ del Baio, letteralmente “casa del baio“, ovvero di un cavallo dal mantello rossastro, che in passato aveva dimora nelle stalle della cascina. E infine, della scelta di adottare una filosofia produttiva votata alla cura e al rispetto dell’ambiente circostante, attraverso l’adesione ai dettami dell’agricoltura biologica, secondo il disciplinare The Green Experience.
Guarda l’intervista a Valentina Grasso sul nostro canale Youtube!
Precisione, eleganza e stile
I vini che l’azienda Ca’ del Baio produce nella Langa di Barbaresco si distinguono oltre che per identità, anche per stile ed eleganza. A partire dai bianchi: gessosi, verticali, puri. Una triade in crescendo, quella degli Chardonnay di Langa, partendo dal Luna d’Agosto (versione in acciaio tesa su frutta tropicale), passando per il Sermine (rotondo, lungo, finissimo), fino ad arrivare al Valentine, liberamente ispirato alla Borgogna classica, e – come recita il nome – intensamente voluto da Valentina.
Anche i rossi si muovono sullo stesso filo del discorso: in slancio e finezza. Assaggiamo la Barbera, vino per cui non nascondo un mio chiaro sentimentalismo, luminosa e profonda come dev’essere: tutta giocata in antitesi. Anche i Nebbioli d’ingresso stupiscono per respiro e allungo: il Langhe Nebbiolo R.L. è tutta polpa e freschezza, il BricdelBaio, invece, più intenso e profondo.
Vini precisi, puliti, ed estremamente godibili. Pensati e interpretati secondo una visione della Langa moderna: giovane. Comprese le etichette di Barbaresco, per cui – però – è d’obbligo un paragrafo a parte.




Il Barbaresco di Ca’ del Baio
Dei terroir della denominazione, quello di Treiso è quello che si caratterizza per conferire ai vini maggiore spessore e austerità. Ciononostante, la mano di Ca’ del Baio anche qui è presente in maniera evidentissima: ancora una volta è soprattutto un principio d’eleganza a dettare legge.
A raccontare l’identità della cantina è soprattutto l’Autinbej, letteralmente “le vigne più belle“, a indicare il fatto che soltanto le vigne posizionate nei punti migliori sono quelle adatte a produrre l’uva da Barbaresco. Questo è il Barbaresco della tradizione Langarola, ottenuto dall’assemblaggio di tre vigneti situati nel comune di Treiso. Un vino dove emerge con franchezza lo stile Ca’ del Baio: di classe e carattere, sorso pieno e vellutato, naso di frutti di bosco maturi e violette.
E poi i cru, le Menzioni Geografiche Aggiuntive, di recente istituzione (definite ufficialmente nel 2007), espressione del territorio e vera e propria radiografia delle peculiarità della Langa. In Ca’ del Baio sono tre le MGA prodotte: Vallegrande, prodotta nei vigneti di Treiso che circondano la cantina (da cui, nelle annate migliori, viene creata una Riserva delle vigne più vecchie); Pora, storico ed esteso cru di Barbaresco; e infine il leggendario Asili, anche questo ottenuto da vigne che si trovano a Barbaresco, tra le espressioni più raffinate e longeve di questo territorio (anche di questa MGA, nelle annate migliori viene prodotta una Riserva).





Tra bicchieri mezzi vuoti e le ultime chiacchiere con Valentine nel frattempo si è anche fatta una certa ora, nel frattempo il sole ancora timidamente resiste all’avanzata delle nuvole. A qualcuno è venuto un certo languorino, ci servirebbe un posto dove andare a spiluccare qualcosa…
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