Sono Solo Complimenti | Intervista a Antonietta Peluso, sociologa

Virginia Pubblicato il 8 Aprile 2021

Questa non è un’intervista, è un viaggio. Prendetevi del tempo. Partite preparati, magari con Rebel Girl nelle orecchie, Moxie nel cuore e Jennifer Guerra nella mente. E se le produzioni Netflix vi fanno venire l’orticaria a prescindere, nel cuore mettete quella storia sessista che avete sentito anni fa e che ancora vi fa ritorcere lo stomaco. Quando nel 2019 @LaBaronessa ha condiviso il profilo di Sono Solo Complimenti, l’ho sentito tra tutte le mie vertebre che sarebbe diventato qualcosa di forte e meraviglioso. Intervistarle è stato naturale come rientrare nella propria cameretta d’infanzia, per questo vi racconterò loro e la loro storia, senza nessuna spintarella extra per convincervi di quanto bello, buono o rilevante sia il loro progetto. Sappiate però che da quel giorno del 2019 nessuno mette più le storie delle donne in un angolo.

Sono Solo Complimenti

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Che cos’è Sono Solo Complimenti in 100 parole

Sono Solo Complimenti è un microfono virtuale sul tema della violenza, che parte dal catcalling fino alla pedofilia. Martina (founder torinese) e Antonietta raccolgono dal 2019 storie inviate volontariamente al loro account Instagram. L’obiettivo è quello di fornire una fotografia del fenomeno, senza impastare le percezioni e il vissuto di chi scrive con una narrazione che non gli appartiene. Ci tengono così tanto a rimanere oggettive che non correggono neanche la grammatica. Questo non esclude però una bella dose di empatia, cosa che non manca mai nelle loro risposte e che ha reso Sono Solo Complimenti un luogo sicuro per molti.



L’intervista ad Antonietta Peluso

Chi vi contatta butta giù ogni muro, anche quelli con se stessi e si parla di traumi con libertà di scelta, espressione e trasparenza. Perché è importante per voi non cambiare neanche una virgola delle storie altrui?

Noi non tocchiamo alcuna parola. Cerchiamo di lasciare i testi integri come ci arrivano, non correggiamo neanche la grammatica. Il nostro intento è fare quasi un’inchiesta giornalistica, non vogliamo raccontare una realtà aggiungendo il nostro punto di vista, le nostre ideologie o quello che conosciamo sulla tematica. Vogliamo esprimere qual è il vissuto e la percezione di chi subisce. Vogliamo creare un’ istantanea della situazione e per fare questo bisogna dare voce quanto più possibile a chi è stato coinvolto in prima persona, è molto molto importante rispettare le storie che ci arrivano e lasciarle per come sono. 

Rispetto agli inizi, che cambiamenti avete notato?

Se da un lato l’engagement è sempre stato costante (12-13%), in termini qualitativi invece c’è stato sicuramente un cambiamento. Prima le storie ci venivano raccontate in maniera molto più fredda e soprattutto cercando di adottare in qualche modo il punto di vista della vittima. Chi raccontava la storia aveva come obiettivo quello di essere creduto e dava dettagli che apportassero verità alla storia. Ora sembrano quasi degli sfoghi.

Molte persone dicono che hanno parlato con noi per la prima volta delle loro storie, mentre altre volte capita che ci contattino a distanza di pochi giorni per dire “Scusa se te l’ho scritta, però vorrei che non fosse pubblicata, l’ho scritta per liberarmi di un peso e per me voi siete le persone adatte a fare questo”. Non c’è alcun problema ovviamente! Il nostro progetto è a servizio di chi ha subito e di chi speriamo non subirà. C’è stata proprio una sorta di apertura delle persone, che quasi si sentono a casa.

Come ci si sente dalla vostra parte dello schermo?

Il senso di responsabilità è sempre presente e molto forte. Si ha paura di fare danni nella pubblicazione, soprattutto per i commenti. Un po’ per gli haters, ma a volte sono storie così forti che anche un consiglio mal dato può essere deleterio. Ad esempio a gennaio/febbraio abbiamo pubblicato delle storie che parlavano di violenza domestica. Molti hanno commentato di pancia, ma per quanto le intenzioni siano quelle di proteggere la vittima possono danneggiarla ancora di più. Scegliere delle storie che secondo noi sono pronte ad essere pubblicare è difficile, ma lo capiamo già da come una persona ci parla se ha superato o no, se è in grado di reggere l’urto dei commenti che seguiranno.

Sento molta responsabilità anche nel rispondere ai messaggi. Rispondiamo sempre, cerchiamo di far capire che abbiamo letto, ma anche che ti abbiamo capita, ti crediamo e siamo dalla tua parte. Cerco di trovare la giusta distanza che dosi empatia, lucidità e fermezza perché l’obiettivo è maggiore dal fare il tifo.

Quando sono iniziate le recenti proteste in Inghilterra, alcuni uomini si sono chiesti come aiutare una donna se capiscono che si sente in pericolo camminando per strada. Sulla base delle storie che ricevete, secondo voi cosa può fare la differenza in una situazione percepita pericolosa?

Tempo fa ci arrivò una lettera di un professore, il Professor Tipaldo. Fu una lettera forte che pubblicammo dopo averci riflettuto molto. Forte perché raccontava una realtà che esiste, che è vera quanto quella di chi subisce, ed è quella delle persone che non sanno come approcciarsi a questa tematica. Lui è un professore di sociologia, quindi non è nuovo a questi temi, eppure in quel momento non ha saputo fare la cosa “giusta”. La realtà è che non esiste una cosa giusta, non esiste una guida universale, ma quello che si può fare è cercare di essere lucidi ed espliciti. Non è un tema trattato a fondo a livello teorico, personalmente credo che il modo migliore di affrontare situazioni simili sia quello di rendere esplicito il disagio, dire “ho capito che hai paura, so che esistono queste cose, ma non è il mio caso” e dare il giusto comfort.

Ci sono arrivate tantissime testimonianze di ragazzi che raccontavano di camminare la sera, aver notato una ragazza impaurita dalla loro presenza, che continuava a girarsi, e di aver cambiato lato della strada per allentare la tensione.

Provare ad attaccare bottone però non è illegale. Cosa risponde la vostra community a chi vorrebbe fare un complimento ma non sa come fare?

Questa è una domanda molto interessante a cui ha risposto la psicologa Arianna Capulli. Riportando il suo discorso, la prima cosa che ci ha detto è che la differenza tra un complimento è un non-complimento sta nel fatto che il destinatario del complimento deve essere parte attiva della relazione.

  • Per esempio quando due persone si conoscono, in quel caso è un complimento perché c’è un grado di confidenzialità tale da poterlo fare.
  • Oppure perché il ricevente in quel momento è proprio parte attiva del discorso.

Se si sta parlando con una ragazza e le si dice “ah sei veramente bella!” non le stiamo facendo una violenza, ma se una ragazza cammina per strada e le si urla da lontano “sei bellissima” è diverso, non è coinvolta. Di per sé la frase non ha un valore negativo, si rischia però di ferire, di mettere a disagio, di far sentire in pericolo. Si può diventare offensivi, molesti. Il complimento è sempre legato al contesto, alla relazione tra gli interlocutori, all’obiettivo dell’interezione…quindi anche al grado di malizia. Diventa un non-complimento perchè spesso si va a legare al concetto di adescamento.

Ci sono storie belle come quella del barista di Napoli, dove la ragazza ha ricevuto un complimento ed è stata messa a proprio agio nel riceverlo. La differenza sta proprio qui, nel fatto che i complimenti non hanno fine di adescamento, non hanno fine molesto e soprattutto il destinatario è parte attiva della relazione, cosa che ovviamente non può avvenire per strada quando una persona sta passando e l’altra gli urla cose da lontano. 

Ma allora qualche storia vi strappa un sorriso!

Sicuramente le storie belle. A volte ci scrivono storie belle “perché ne leggiamo già tante brutte” e questa premura che hanno nei nostri confronti ci strappa un sorriso. Ci sono anche storie brutte ma a lieto fine. Spesso leggiamo di persone che hanno subito una tentata aggressione e sono state aiutate da altre. Ci capitano persone che purtroppo hanno subito violenze forti, ma hanno poi trovano un fidanzato, un parente, un genitore pronto ad accoglierle. Quello che hanno subito dà una sorta di speranza, ti fa vedere da un lato l’essere umano in tutte le sue sfaccettature più malvagie e dall’altro che ci sono persone capaci di capire quando è il momento di accogliere, di intervenire, di prendersi cura degli altri. Infine alcune storie sono semplicemente raccontate con tanta tenerezza che ci strappano altri sorrisi, ma il nostro sorridere non è mai beffardo ci tengo a sottolinearlo.

Il progetto non è nato già strutturato in questo modo. Mi emoziona molto vedere come si evolve.

Esatto! Avevamo chiarissimi gli obiettivi: diffondere e dare una fotografia del fenomeno e provare ad essere parte attiva facendo ricerca. Nel tempo però le storie sono cambiate, le persone si fidano sempre di più e da che era solo catcalling, si è passati a tutti i tipi di molestie, di violenze, anche domestiche, anche episodi di pedofilia. Abbiamo scelto di raccontare tutto, mettendo in secondo piano il nome della pagina. Per quanto riguarda la struttura invece inizialmente c’era solo la pagina Instagram, poi il sito, gli sportelli e ci sono ancora tantissime idee in ballo.

Chi collabora con Sono Solo Complimenti e come funziona lo sportello di aiuto?

Per gli sportelli funziona così: è possibile prenotarsi via email e ci sarà uno sportello iniziale di conoscenza. Purtroppo non siamo ancora nella condizione di poter fornire un’assistenza continua, di poter pagare un percorso terapeutico completo alle persone, perché non abbiamo i fondi. Attualmente è tutto autofinanziato, ci interessa che la fruizione sia gratuita per supportare al massimo l’utente. Speriamo un giorno di averne perché ci piacerebbe davvero dare un supporto continuo e duraturo. Al momento collaborano con noi Gloria Montecucco, psicologa e psicoterapeuta per lo sportello d’ascolto gratuito, e il team di Milano Studio di Psicologia per quanto riguarda la divulgazione.

Ci sono dei progetti o delle idee che vorreste mettere in pratica per aiutare ancora di più la community? Avete mai pensato a delle iniziative direttamente sul territorio?

Di progetti ce ne sono, tanti tanti tanti. Abbiamo rilasciato diverse interviste anche scientifiche ai fini di ricerca, come per l’Università di Napoli. Sul territorio stiamo pensando a qualcosa che riguardi le scuole. Ci piacerebbe tantissimo fare divulgazione, informazione e formazione, cosa che è condizionata sia dal momento difficile che stiamo vivendo sia dal budget. Stavamo pensando anche a delle stanze su Club House ispirate dalla community. Vediamo che la nostra community vuole collaborare con noi, si sente parte attiva di questo progetto. Siamo diventate un voce informata e rilevante, è una cosa che ci fa molto piacere, non per vanagloria ma perché vediamo che si è creata una fiducia tale da ritenerci persone degne di affrontare l’argomento.

Siamo giunti alla fine di questo viaggio insieme a Sono Solo Complimenti. Non è stato facile facile! Mentre preparavo le grafiche con Irene ho dovuto chiederle di continuare il giorno dopo perché troppe parole mi erano entrate troppo a fondo. Non so come Antonietta e Martina gestiscano queste emozioni OGNI GIORNO. Mi meraviglia come la tecnologia aiuti le persone all’interno della nostra città e arrivi fino alle nostre case, creando un’enorme community e scuotendoci silenziosamente. Questo per me è la magia dietro le Smart People (…chi sono le Smart People?!).

Vi saluto lasciandovi alcuni link che potrebbero esservi utili a fine lettura:
Arianna Capulli: che cos’è un complimento | Vuoi sostenere Sono Solo Complimenti? | Senza Rossetto, podcast per femminist3 | Wher App, ovvero Google Maps per le donne che camminano sole per strada. Vorreste consigliarne altri? Io ci sono, parliamone! Instagram: @rogerpigna


Copertina e grafiche iniziali: Irene @i.graphigram (concept: Giorgia Ribaldone, Virginia De Faveri). Grafiche e storie “SSC”: @SonoSoloComplimenti ©